venerdì 24 luglio 2015

Export mobili: ottimi risultati nel segmento top e voucher in arrivo


La lunga crisi degli ultimi anni ha colpito duramente tutti i settori economici italiani e, tra di essi, anche lo storico comparto del mobile. Tanto che, secondo FederlegnoArredo, dal 2009 al 2013 le imprese italiane del mobile hanno perso circa il 34% del proprio valore sul mercato italiano, oggi ridotto a 9,3 miliardi di euro, e a fronte di una continua crescita del business sui mercati internazionali.

Ad ogni modo, non tutto il male è venuto per nuocere. A fronte delle criticità congiunturali interne, infatti, le imprese del mondo del design e del mobile hanno accelerato il compimento di un percorso già avviato vent'anni fa, e che oggi è produttore di graditi risultati, che hanno nell'export la propria punta di diamante.

Negli ultimi anni la spinta all'internazionalizzazione è infatti cresciuta in misura considerevole, permettendo alle imprese italiane - e specialmente quelle operanti nel segmento top - di occupare un ruolo di rilievo globale nel macro settore. Secondo i dati statistici più aggiornati, la quota di export nel 2014 è stata pari al 64% della produzione, facendo dell'Italia uno dei principali Paesi esportatori di arredo nel mondo, con una quota del 30% a livello globale nel segmento di fascia alta.

Per quanto concerne i mercati di destinazione, è bene ricordare come nel 2014 l'Italia sia stata il primo Paese esportatore di settore in Cina, con una quota nazionale del 15%, e un controvalore che si aggira intorno ai 233 milioni di euro. Ruolo di leadership anche nel più piccolo mercato cipriota, dove l'Italia ha una quota di mercato del 30%, per un controvalore meno rilevante in termini assoluti, pari a 23 milioni di euro.

Al di là delle posizioni di preminenza sopra espresse, i mercati più importanti per fatturato generato continuano ad essere quelli di Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Svizzera. In Francia il nostro Paese è il secondo operatore di mercato, con una quota del 16% e un controvalore di 1,03 miliardi di euro; in Germania ha la terza quota di mercato per rilevanza (8%) per un controvalore di 853 milioni di euro; in Russia è il secondo operatore, con una quota del 18% e un controvalore di 604 milioni di euro; in Svizzera è il secondo player di riferimento, con quota del 17% e controvalore di 530 milioni di euro.

Posizioni di tutto rispetto anche nei confronti del mercato austriaco (dove l'Italia è terzo operatore, con una quota dell'11% e fatturato di 303 milioni di euro), Arabia Saudita (seconda posizione con quota del 10% e fatturato di 213 milioni di euro) e Spagna (con quota dell'11% e fatturato di 227 milioni di euro).

Un'ulteriore spinta verso l'apprezzamento del commercio estero dovrebbe inoltre arrivare dalla pronta disponibilità dei voucher per l'internazionalizzazione, che permetteranno alle imprese italiane di poter incrementare l'export mobili ed assumere a tempo determinato un manager per il commercio estero, valutando compiutamente tutte le opportunità di successo al di fuori dei confini nazionali.

Per saperne di più vi invitiamo a consultare il nostro staff ai seguenti recapiti: marketing@egointernational.it



venerdì 17 luglio 2015

Export manifattura italiana: ecco perchè puntare su mercati arabi e africani


Fino a qualche anno fa erano considerati Paesi a "rischio". Oggi, invece, costituiscono una delle più ghiotte opportunità per tutti coloro i quali desiderano poter investire con congruità in alcuni dei mercati emergenti più appetibili. Parliamo naturalmente dei cluster di Paesi medio orientali e africani, il cui salto da rischio a opportunità è stato molto breve e molto avvincente. Basta, naturalmente, affidarsi a un operatore qualificato per poter individuare le giuste strade e le giuste modalità di export, e il più è fatto.

D'altronde, che l'export sia fondamentale per la manifattura italiana lo sostengono i dati: il contributo dell'export alla crescita cumulata del Pil italiano vale attualmente oltre il 40%, e proprio per questo motivo l'attenzione nei confronti del commercio estero non solo non è calato, ma sta continuando a crescere anche attraverso una serie di iniziative poste in essere dall'esecutivo (ultima delle quali è la predisposizione di un voucher per l'internazionalizzazione in favore delle piccole e medie imprese italiane, che possono ora assumere un consulente per l'export grazie ai benefit previsti).

Tornando ai mercati di destinazione, a tracciare qualche utile rotta è la Sace, secondo cui i mercati arabi come: l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, il Qatar e numerosi mercati africani saranno vere e proprie miniere di opportunità e di soddisfazioni per le imprese italiane. Ma non solo: a crescere saranno anche le esportazioni di mezzi di trasporto e di componentistica verso il Canada (+ 8,5% medio tra il 2015 e il 2018), la meccanica strumentale in Algeria e in Egitto (+ 6,5%), e in Tunisia (+ 7,3%).

Non mancheranno inoltre mercati emergenti in pieno sviluppo, come quelli dell'area subsahariana, che secondo diversi analisti saranno destinati a crescere in modo esponenziale nel corso dei prossimi anni. L'Africa può dunque diventare l'area a più forte crescita nei prossimi decenni, e dal Kenya al Senegal, sembrano essere numerosi i mercati appetibili per le imprese tricolori. D'altronde, dalla meccanica strumentale ai metalli, passando per legno e packaging, numerosi sembrano essere i settori nei quali le imprese italiane possono giocare un ruolo da leadership.

Naturalmente, per poter disporre di maggiori informazioni, vi consigliamo di consultare il nostro staff di consulenti EGO International Group: un gruppo di esperti a vostra disposizione, per ponderare qualsiasi strada di successo sui mercati esteri.

lunedì 19 gennaio 2015

Export lusso in Russia, ecco cosa sta accadendo (e dove andare)

Complici le sanzioni comminate dall'Unione Europea alla Russia in seguito alle note turbolenze con l'Ucraina, è Mosca il partner commerciale che sta preoccupando maggiormente gli imprenditori italiani, quasi rassegnati a iniziare il 2015 in un contesto fin troppo simile a quello che ha caratterizzato l'intero 2014. Proprio per tale motivo le associazioni imprenditoriali tricolori stanno muovendo i loro passi per cercare di alleviare le sofferenze commerciali già avvertite nello scorso anno. Il grave rischio è infatti che il Paese cada in recessione: un rischio che corrisponderebbe a ulteriori problemi per le imprese italiane che operano nel comparto del lusso (e non solo), inducendo i russi a comprare sempre di più all'interno dei propri confini nazionali, e sempre di meno all'esterno.

Ma, considerando che la Russia è un mercato sempre più delicato, dove dirigere i propri obiettivi commerciali internazionali in attesa che la situazione moscovita giunga a rasserenamento?
Sicuramente, ad oggi i mercati più maturi sono anche quelli che offrono le maggiori sicurezze. Pertanto, occhi aperti nei confronti dei consumatori dell'Europa Occidentale  e degli Stati Uniti: una tendenza peraltro ben confermata dalle trimestrali che abbiamo avuto modo di analizzare negli ultimi mesi, e che dimostrano come i principali gruppi italiani del settore del lusso (e qualche piccolo - medio operatore con loro) abbiano indirizzato in misura crescente le proprie propensioni di internazionalizzazione proprio verso Stati Uniti (+ 9,3% a/a), Germania (+ 8% a/a) e Francia (+ 1,4% a/a).

Da non sottovalutare sarà inoltre l'apporto garantito ancora dagli "ex" emergenti e, in particolare, dalla Cina. La Cina ha sostenuto, nella recente storia, i conti delle società italiane che operano nel mercato del lusso. Tuttavia è altrettanto vero che nel 2015 (così come nel 2014) dovrebbe verificarsi una relativa attenuazione del peso specifico della Cina nel fatturato delle società di settore, considerato che alcuni prodotti di lusso stanno trovando sempre meno appeal.

Come se non bastasse quanto sopra, a nuocere (potenzialmente) alle imprese del settore potrebbero essere i cambi valutari. Già nel corso del 2014 il fatturato di settore è cresciuto del 2% a tassi correnti e del 5% a tassi costante, con una forte penalizzazione legata al deprezzamento di alcune delle principali valute fruite (come - appunto - il renmimbi cinese). Nel 2015 dovrebbe verificarsi un consolidamento dell'apprezzamento del dollaro, ma rimarrà comunque prevalente la massima aleatorietà per quanto attiene l'evoluzione dei cross valutari.

Infine, l'incremento delle barriere non tariffarie, definito come "esponenziale" dallo stesso vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. "Nei Bric in meno di dieci anni le barriere non tariffarie sono cresciute di otto volte: non si sono aperti se non ai beni intermedi, alle macchine — perché più produci su quei Paesi meglio è — e questo è il motivo per cui il nostro export tiene più di quello francese ma meno di quello tedesco. Sono preoccupato, ma nel complesso lo sono relativamente perché dove non ci sono comportamenti protezionisti inusuali, come negli Stati Uniti, stiamo andando molto bene e complessivamente per il 2014 ci avviamo a un record assoluto di esportazioni: nei primi nove mesi siamo già a 28 miliardi contro i 19 dello stesso periodo 2013" -. Sottolineava Calenda in tal proposito.


Ma quale è allora la ricetta ideale per le imprese italiane che desiderano esportare? Sostanzialmente, la "soluzione" è sempre la stessa: individuare più mercati di destinazione, curare la propria offerta commerciale declinandola sulla base del target di riferimento, spendere la giusta attenzione nei confronti delle condizioni di vendita, della promozione e della ricerca di nuove strade, in un'ottica di differenziazione.

martedì 13 gennaio 2015

Trova nuovi clienti esteri grazie ad un ufficio commerciale estero in ou...

lunedì 27 ottobre 2014

La Russia estende l’embargo: cosa accadrà all’export italiano?

La Russia ha deciso di estendere il suo embargo ai prodotti alimentari importati dall’Unione Europea. Una dichiarazione sintetica, diramata dal servizio veterinario russo, Rosselkhoznadzor, e dietro la quale si cela l’impossibilità – da parte (anche) delle imprese italiane – di esportare in Russia i prodotti derivati dal pollame e dalla carne suina e bovina, compresi i grassi animali.
Il tutto, con la formale giustificazione che si tratterebbe di misure resesi necessarie dopo il ritrovamento di agenti patogeni e metalli pesanti in tali prodotti.

Complessivamente, il divieto all’ importazione russa di tali prodotti, si aggiunge al bando su carne, pesce, latticini, frutta e verdura dello scorso 7 agosto, estendendo in modo significativo il divieto di export italiano in Russia per prodotti appartenenti al mondo alimentare e agroalimentare. Ma cosa accadrà ora all’export italiano di settore?

Embargo per carne suina,bovina e pollame
Come sempre, per cercare di capire cosa accadrà all'export verso la Russia, val forse la pena cercare di comprendere cosa è già accaduto. Secondo quanto affermava pochi giorni fa Coldiretti al Forum su agricoltura e alimentazione organizzato a Cernobbio, il made in Italy avrebbe subito una flessione del 63% nei prodotti agricoli verso la Russia, e un – 12% di prodotti alimentari. Non solo di cibo l’export italiano soffre: il tessile perde il 24,8%,i mezzi di trasporto il 50,1%, i mobili cala il 17,8%, i prodotti farmaceutici il 32,3%.

I timori sono tuttavia maggiormente incentrati proprio sull’alimentare e sull’agroalimentare, che in Russia ha (aveva?) un canale privilegiato. Il rischio è infatti non solo quello di veder drasticamente calare il proprio fatturato attuale, ma di veder danneggiate le prospettive di una possibile ripresa quando – ci auguriamo, in tempi rapidi – il blocco all’importazione russa vedrà la fine. Al fine di potersi garantire comunque un cibo apparentemente tricolore, i consumatori russi starebbero infatti cedendo all’italian sounding. “Lo stop alle importazioni di frutta, verdura, salumi e formaggi dall'Italia – avverte infatti la Coldiretti - ha provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti Made in Italy taroccati, dal salame 'Italia' alla mozzarella 'Casa Italia', dall'insalata 'Buona Italia' alla Robiola 'Una grande', ma anche la mortadella 'Milano' o il 'Parmesan Pirpacchi', tutti rigorosamente realizzati nel Paese di Putin”.

Sempre secondo la Coldiretti la situazione potrebbe rischiare “di aggravarsi con grandi investimenti annunciati per potenziare l'industria alimentare locale, con la produzione di prodotti lattiero caseari e formaggi che è già aumentata del 20% negli Urali centrali”, con l’evidenza che sono previsti “nuovi caseifici come quello in programma annunciato nella regione Sverdlovsk con un investimento di 2 milioni di rubli per coprire il fabbisogno di formaggi duri e molli, dalla mozzarella al parmigiano”.

Come se la situazione di cui sopra non fosse già abbastanza deteriorata, si tenga anche conto come a potenziare la produzione del falso made in Italy non è solo la Russia, quanto anche “molti Paesi che non sono stati colpiti dall'embargo come la Svizzera, la Bielorussia, l'Argentina o il Brasile che hanno aumentato le produzioni e le esportazioni dei cibi italiani taroccati”.


In ultima istanza, è anche possibile che questa ondata di embarghi possa “cambiare” i consumi dei cittadini russi. Tra gli esempi, forse più particolari e pittoreschi (se la situazione non fosse drammatica), c’è quella sottolineata da Rai News, che ricorda come “l’ultima trovata dell’ente governativo russo che regolamenta l’importazione e distribuzione sul territorio nazionale di prodotti agro-alimentari esteri è stata quella di autorizzare le importazioni su vasta scala della carne di coccodrillo per consumo alimentare. L'ispettorato per il settore agro-alimentare russo (ROSSELKHOZNADZOR) ha autorizzato la società delle Filippine (Paese che non ha aderito alle sanzioni imposte contro la Russia) Coral Agri-ventures a introdurre sul mercato russo la carne di coccodrillo congelata. E’ la prima fornitura del genere per la Russia, mai dalle Filippine era stata esportato questo tipo di carne”.